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Mattina
sul 764. Ci sono tre simpatiche vecchiette, si somigliano molto tra loro… bassine, panciute, con degli occhiali lucidati a nuovo e una corta ma folta
capigliatura. Il colore dei capelli cambia, una li ha neri, le altre due
rossicci. Tutte e tre parlano romano (una più marcatamente delle altre) e tutte e tre hanno il carrellino della spesa.
Parlano ad alta voce tra loro, inizia l’anziana davanti a me.
«Ma ce sete annate a ballà ieri ar centro?»
«Sì sì, certo», rispondono le amiche.
«E ce stava Mario?»
«Mario chi?»
«Ahó… Mario!»
«Ah, no… Non ce stava.»
(Notare come “Ahó’… Mario” sia stato più illuminante di una descrizione dettagliata dell’uomo.)
«Ma non è che è morto?»
«Macché l’ho visto venerdì!»
«Magari è morto sabato. Che ne sai.»
«Ma perché deve esse morto dico io!»
«Perché lo vojo fa morì io!», e la signora se la ride sotto i baffi (che tra l’altro ha).
Parlano poi di un certo Gino che le dovrebbe venire a prendere.
Infine si preparano a scendere.
«Alla prossima dovemo scende, voi ce l’avete l’ombrello?»
«Io sì.»
«Io pure.»
La simpatia non sta solo nel discorso che stanno facendo e nemmeno nel fatto che stiano parlando ad alta voce. La situazione è buffa perché le tre amiche, in realtà, non sono sedute vicine. L’autobus è pieno, anche i posti in piedi sono terminati, le persone sono tutte bagnate causa il mix micidiale pioggia-vento, per il poco spazio libero gli ombrelli chiusi si asciugano contro le gambe e sulle scarpe altrui.
Le tre vecchiette sono sedute in tre posti diversi e non si vedono tra loro. Anche io, a parte quella che ho davanti, delle altre due ne sento solo le voci.
La signora davanti a me allora si alza, e prima di scendere mi regala il titolo a questa breve storia di oggi. Mi tocca la spalla con la mano e con un sorriso da furbetta mi dice: «Non te scordà l’ombrello», l’avevo appoggiato su un piano dell’autobus, «che questi so’ scordarelli,
proprio come l’omini.»