Ci sono periodi vissuti, della propria vita, che custodiamo in un posto segreto della nostra memoria. In questo caso non parlo di esperienze negative, anzi. Sono quelle memorie che più passa il tempo, più acquisiscono valore. Quei ricordi che tieni sotto chiave in una stanza in penombra nella tua mente e temi che tirandoli fuori si deteriorino. Sei convinto che facendoli riemergere li consumi, così che a lungo andare possano svanire, non riuscendo più ad avere la facoltà di ricordarli nitidamente. E allora si, li tieni lì, sotto chiave. Ogni tanto ti affacci da una piccola finestrella per osservarli con tenerezza, come fai con un bambino mentre dorme. Sorridi, la malinconia ti si mette a fianco, il suo braccio intorno alla tua spalla e, la stronza, sorride mentre ti sussurra nell’orecchio quanto sono belli.
Passa il tempo, e dopo 20 anni pensi di esser pronto ad aprire la porta ed entrare per guardare, per ricordare quei momenti più da vicino.
Illuso.
Se poi per aprire usi la musica… la porta non si apre, si spalanca. E invece di entrare tu a piccoli passi, il vissuto fugge fuori travolgendoti e trapassandoti come una furia.
E tu mica scappi, no, rimani lì impietrito, davanti quella porta, facendoti travolgere e lasciandoti far del male nonostante tu sia spaventato e la malinconia ora urla dentro le tue orecchie.
Poi quando il dolore si affievolisce, decidi di socchiudere l’uscio, hai avuto quello che volevi. Perché poi, in realtà, quello è ciò che hai sempre sbirciato dalla finestra e custodito con cura: l’effetto devastante che hanno quei ricordi.
E allora li saluti, mentre rientrano in stanza, chiudi di nuovo la porta e spegni la musica. La lacrima è inevitabilmente scesa. Il groppone è inevitabilmente salito. Però nasce anche un sorriso.
E ti vuoi bene.
DON’T BANG THE DRUM – The Waterboys